Dal nostro lettore: "lorenzo cimino".
23/03/2012 02:27 È solo l’inizio, lotteremo contro questa riforma Monti-Fornero che mira soltanto alla libertà di licenziamento; nell’esclusivo interesse dei mercati e della Finanza. L’art. 18 non si tocca, il suo effetto deterrente e la sua valenza culturale sono fondamentali. Ancora una volta, come sulle pensioni, si vuole fare pagare la crisi ai lavoratori.
"loredana" 02:56 23/03/2012
RispondiEliminaLa "riforma" del lavoro associata alla "riforma" delle pensioni dà un quadro preciso dell' obbiettivo dell' azione di questo governo cosiddetto tecnico.
Le conseguenze di queste due riforme sono ben chiare a Confindustria che soltanto l'altro ieri auspicava - o per meglio dire reclamava - che la riforma del lavoro in corso, e di cui i contorni erano ampiamente noti, non venissero depontenziati nel corso della "concertazione" con le parti sociali dei lavoratori. Ma è cosa nota che il Governo non ha mai accettato la prassi della concertazione; l'ha sempre e soltanto derubricata a semplice audizione, quindi era ben chiaro a tutti (tranne forse a Bersani) quali erano le reali intenzioni quali i reali obbiettivi della riforma di Monti-Fornero: gli stessi di Berlusconi-Sacconi.
La conseguenza di questo micidiale combinato disposto delle due "riforme"
viste insieme, sarà che le vere vittime di questa nuova situazione saranno i dipendenti 50-55enni che, avendo raggiunta una posizione economica discreta, saranno (licenziati per essere) sostituiti dalle forze di lavoro a buon mercato, quelle che beneficeranno del contratto di ingresso (apprendistato) a costi decisamente competitivi per le aziende. La tipologia di licenziamento che sarà universalmente adottato sarà il "licenziamento individuale per motivi economici" che non richiede il passaggio attraverso il filtro giuridico, anche le cause di licenziamenti collettivi per motivi economici seguiranno la nuova prassi, assai meno rischiosa per l'azienda ed immediata.
Quello che mi sfugge è il motivo dell' arrendevolezza a questa deriva liberista - ormai storica - dei sindacati CISL e UIL... O, per meglio dire, quella dei loro iscritti.
"Teresa" 03:09 23/03/2012
RispondiEliminaC'è una volontà perversa di umiliare il mondo del lavoro, davvero incomprensibile. Che a farlo sia il Presidente del Consiglio e il Governo che si presenta come il salvatore della patria è davvero grave.
"ernesto g." 02:01 25/03/2012
RispondiEliminaL’art. 18 non è tutto. Nella riforma del mercato del lavoro ballano temi di interesse più strategico della sola disciplina dei licenziamenti individuali. Come ridurre la cosiddetta flessibilità in entrata, l’abuso del lavoro non contrattualizzato e non retribuito, le finte partite Iva, i contratti formativi senza formazione, la giungla dei lavori a termine. E come assicurare strumenti di sostegno, efficaci e finalmente universalistici, a chi il lavoro non lo trova o l’ha perduto. Problemi su cui sindacati e politica dovevano intervenire già da tempo, quando si potevano impegnare più risorse per una estensione degli ammortizzatori sociali e per le politiche attive del lavoro. Quando a pretenderlo non erano le emergenze e neppure i fantasmi di oggi – l’Europa, la Bce, i mercati? – ma lo scandalo di disparità di trattamento assolutamente non giustificabili.
"Teresa" 03:54 25/03/2012
RispondiEliminaVi segnalo che la prossima Conferenza internazionale del lavoro (ILC) si svolgerà a Ginevra dal 30 maggio al 15 giugno 2012. In aggiunta ai consueti punti in agenda (rapporti sull'applicazione delle Convenzioni, questioni finanziarie e di bilancio etc.), i temi che saranno specificamente trattati in quella sede riguarderanno la proposta di una Raccomandazione sul “social protection floor” (c.d. zoccolo di protezione sociale), il lavoro dei giovani, i principi e i diritti fondamentali al lavoro.
"Carlo Clericetti" 03:24 17/03/2012
RispondiEliminaL’esito che si profila dai colloqui sul mercato del lavoro è tale da rendere lecito porsi il problema se il PD non debba mettere in questione il sostegno al governo Monti. “Colloqui”, non “negoziato”, visto che in un negoziato ognuno cede su qualcosa e ottiene in cambio qualcosa, mentre qui si chiede di cedere molto senza contropartite.
"Maurizio Benetti" 03:27 17/03/2012
RispondiEliminaSe 51 anni vi sembran pochi, 51 anni di lavoro prima di poter andare in pensione per chi ha cominciato a 16 anni nel 1996; a chi ha iniziato nello stesso anno avendone 26 basteranno 40 anni. È una delle tante incongruenze di cui la riforma non ha tenuto conto. Favoriti docenti universitari e magistrati, niente per le categorie svantaggiate.
E il PD cosa ha da dire?
"Sebastiano Tosi" 02:24 20/03/2012
EliminaQuesti sono due emendamenti prodotti dal PD e approvati. Qualcosa si riesce a fare, anche se poco secondo me, in una coalizione di emergenza che sta cercando di tamponare i danni di Lega e Pdl.
I lavoratori precoci, quanti lasceranno il lavoro con 42 anni di anzianità, prima di avere compiuto i 62 anni d'età (41 e un mese per le donne) non subiranno penalizzazioni se lasciano il lavoro con un'anzianità contributiva maturata entro il 31 dicembre 2017 inclusi i periodi di astensione obbligatoria per maternità, per l'assolvimento degli obblighi di leva, per infortunio, per malattia e cassa integrazione ordinaria.
Agli esodati (coloro che accettando incentivi economici dall'azienda in crisi si sono licenziati con la prospettiva di andare i pensione entro i successivi due anni e che con le nuove norme hanno visto svanire questa possibilità) non verrà applicata la riforma Fornero se hanno risolto il rapporto di lavoro entro il 31 dicembre 2011. Se le risorse non fossero sufficienti potrebbe scattare un aumento dei contributi che le imprese versano per gli ammortizzatori sociali.
Perché viene preso solamente lo spread dei tassi di interesse verso la Germania come guida insindacabile della politica economica mentre non viene per niente preso in considerazione il fatto che in Germania, che ha una produttività del lavoro di gran lunga superiore a quella italiana, sui licenziamenti di natura economia il giudice può decidere il reintegro del lavoratore? Sarebbe ora che venisse adottato in Europa un modello di spread in cui trovassero collocazione non solo i parametri di natura finanziaria ma anche e soprattutto quelli che esprimono il buon governo delle nazioni, a partire dalle politiche sul lavoro, l’ambiente, il welfare e soprattutto la guerra alla criminalità, corruzione ed evasione: queste tre ultime di fatto sono quello che ci portano fuori dall’euro ed impediscono l’afflusso di investimenti dall’estero.
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